La tecnologia è forse la più importante forma di autoespressione collettiva operata dall'Homo Sapiens. Analizzeremo il suo sviluppo storico e le implicazioni che essa ha sul nostro rapporto con l'ambiente, per averne una comprensione più profonda ed approcciarla con consapevolezza.
Cosa c'è dietro
La tecnologia concretizza l'astrazione, caratteristica distintiva che la Natura ha dato alla nostra specie. Diverse altre specie hanno dimostrato la capacità di pensiero astratto attraverso la risoluzione di problemi con l'uso di strumenti, lo sviluppo di complesse strutture e metodi di comunicazione inter-individuali, e persino mostrando segni di autocoscienza.
È proprio la risoluzione di problemi ad essere fondamentale. La storia della vita sulla Terra è scandita da forme di adattamento a diversi problemi che spingono le specie al limite per fronteggiarli. Più difficile è il problema, più tosti sono i sopravvissuti: la selezione naturale è decisamente politically incorrect. È evidente come lo sviluppo e il perfezionamento del pensiero astratto e della creatività siano funzione diretta dei problemi che si susseguono. È improbabile che specie avanzate (secondo il nostro punto di vista antropocentrico) abbiano deliberatamente cercato di esercitare la loro capacità di creare strumenti o assegnare suoni per designare le cose. Ciò che ha innescato questo processo è stata la necessità. Noi Sapiens, a differenza delle altre specie, non abbiamo istruzioni per sopravvivere scritte nel nostro DNA. La pressione selettiva ci ha plasmati rendendo le civiltà umane basate sempre di più su soluzioni scoperte da individui e condivise tra gruppi progressivamente più grandi. Questo è ciò che chiamiamo cultura: l'insieme di strumenti atti a favorire sopravvivenza e adattamento condivise da un gruppo di Sapiens.
In questo aspetto, l'astrazione umana differisce da quella dei Primati, dei Delfini, degli Elefanti, degli Uccelli e dei Cefalopodi a livello quantitativo. Il nostro processo è lo stesso, ma la portata è vastamente maggiore.
Abbiamo fatto un passo avanti, qualitativamente, quando abbiamo scoperto il piacere della speculazione, quando abbiamo slegato la creatività dalla risoluzione dei problemi. Questa è forse la caratteristica più determinante e caratteristica dell'umanità. La natura ci ha costretti a sviluppare la capacità di raccogliere dati dalla nostra percezione del mondo ed elaborarli in modelli astratti, teorici, in grado di riassumere i tratti salienti dei fenomeni osservabili in una mappa adattabile a varie manifestazioni di fenomeni analoghi. A un certo punto, siamo riusciti a invertire il processo e abbiamo iniziato a modellare la realtà esterna nel modo in cui pensiamo che dovrebbe essere. Abbiamo iniziato a speculare. Abbiamo iniziato a divertirci con l'uso di suoni, simboli e strumenti per il pure piacere di usarli o per il piacere che potevamo ottenere dal loro effetto. È così che è nato l'intrattenimento, un bisogno fondamentale non solo per la nostra specie. Pitture rupestri, manufatti decorativi e primi giochi sono manifestazioni di un modo ontologicamente nuovo di concepire la tecnologia. Invece di averne bisogno per sopravvivere, abbiamo iniziato a usarla per aggiungere una dimensione superflua di piacere di vivere. Potremmo farne a meno senza grandi problemi, ma essa aggiunge un aspetto significativo all'esperienza di vita umana.
L'invenzione del significato
Come detto, lo sforzo di addolcire l'esistenza con attività divertenti non è una prerogativa esclusivamente umana: i cani amano giocare a riporto e i gatti potrebbero passare ore a "combattere" con il proprio Sapiens. L'umanità è evidente nella propria interezza quando cose e attività non necessarie (nel senso di "non relative a necessità per immediate per la sopravvivenza") trascendono il mero piacere del "flow" e si arricchiscono di significato, quando mirano a elevare la nostra condizione a uno stato superiore all'esperienza di vita comune. Questo processo è stato delegato a quattro attività: le arti, la filosofia, la religione e la scienza.
Quindi, le fasi principali del nostro rapporto con la tecnologia e, in senso più ampio, con la concretizzazione dei nostri pensieri, sono state: la necessità di sopravvivere sviluppando strategie e strumenti, poi il piacere portato da attività e strumenti senza un bisogno impellente, poi il desiderio di un significato da raggiungere, ancora una volta, con le nostre attività e strumenti. Pensateci: la ricerca del significato è ancora la principale forza motrice dell'azione umana. Amore, amicizia, successo professionale, sono tutte sublimazioni dei bisogni fisiologici di accoppiamento, compagnia e sopravvivenza. Arricchiscono i bisogni di significato, che è più profondo, quasi normativo e decisamente universale e transculturale.
Tecnologia e cultura
Il motivo di questo excursus storico era riflettere sul modo in cui dovremmo percepire e usare la tecnologia. I nostri bisogni sono e saranno sempre gli stessi, i nostri modi di soddisfarli cambiano nel tempo, sempre ruotando sui quattro rami che abbiamo visto. La scienza, di cui la tecnologia è filiazione, sta vivendo il proprio zenit. La religione vive in molte liturgie del nostro mondo secolarizzato, incluso l'ateismo (e chi scrive è ateo praticante) e mostra un temperamento decisamente antifragile. Le arti attraversano la loro agonia finale. La filosofia è clinicamente morta. Sembra che sia perso l'equilibrio.
La nostra fede nel progresso e nell'autodeterminazione ci ha davvero portati sulle Stelle, in termini di qualità della vita. Spesso dimentichiamo quanto siamo stati fortunati a nascere WEIRD (Western, Educated, Industrialized, Rich, Democratic - Occidentali, Istruiti, Industrializzati, Ricchi, Democratici... e anche un po' strani, in effetti) e nel mondo odierno. Il problema non è credere nel progresso, nella secolarizzazione, nell'individualismo e in altri attributi della modernità: essi sono ciò che ha dato alla qualità della vita odierna livelli inimmaginabili solo un secolo fa. La degenerazione avviene quando rifiutiamo tutto ciò che non rientra in questo gruppo. Non che non dovremmo essere selettivi: l'evoluzione consiste nell'eliminare ciò che non funziona. Ripetere la Selezione Naturale all'infinito stringe le maglie di ciò che sopravviverà. Ciò dà l'illusione di un'aggiunta positiva di caratteristiche adatte mentre in realtà è un'eliminazione negativa di quelle inadatte. Ma sembra che nel processo abbiamo eliminato alcune buone caratteristiche, costringendone altre a svolgere lo stesso ruolo. Pensate alla religione: sebbene sia stata il più grande vettore di significato di sempre, ha portato a odio, guerra, intolleranza, razzismo e oscurantismo. Era ed è assolutamente necessario andare oltre. Ma non possiamo superare il nostro profondo e prettamente umano bisogno di significato, e il "progresso" non funziona per trovarlo. Abbiamo sostituito la fede nelle divinità soprannaturali e nella loro tirannica regolamentazione delle nostre vite con quella in un rifiuto religioso delle divinità e della spiritualità nel complesso, in utopie Politicamente Corrette oppure ultra conservatrici, nel disprezzo verso tutto ciò che può essere etichettato come "vecchio". Di nuovo: è naturale che la spiritualità debba essere rimodellata nel mondo contemporaneo, che diverse delle istanze alla base degli eccessi del Politicamente Corretto siano decisamente commendabili, che sia sciocco preservare i vecchi modelli nella propria interezza. Eppure, stiamo agendo acriticamente, in modo squisitamente digitale: conosciamo solo 0 e 1. Sì o No, il primo passa il turno.
La tecnologia e noi
Non facciamolo con la tecnologia. Ci serve per migliorare le nostre condizioni materiali, è uno strumento. Non porta un significato, ci aiuta a crearlo. Ciò che sta accadendo ora riecheggia il processo invertito di cui abbiamo parlato: anziché usare strumenti per migliorare le nostre vite, stiamo sempre più adattando le nostre vite alle esigenze dello strumento. Stiamo rimanendo imprigionati nella nostra lettura della realtà al punto da dover cambiare la realtà stessa per adattarci ad essa. Basti pensare ai social media: erano, e sono, senza dubbio l'invenzione più significativa nel mondo attuale. Ci hanno permesso di comunicare senza problemi con vecchi e nuovi amici ogni volta che vogliamo, ovunque ci troviamo. La mancanza di comunicazione era un problema, ora è un ricordo. Ma presto ci siamo resi conto di come questo strumento ci ha permetta di proiettare un'immagine, la nostra immagine. E ci siamo resi conto di quanto fossimo liberi di adattare questa immagine non al modo in cui siamo, ma al modo in cui pensiamo di dover essere. Allo stesso tempo, la nostra società sta diventando sempre più modellata sui social media; sono ormai parte integrante dell'identità della maggior parte delle persone. Siamo entrati in un gioco perverso in cui tutti noi vendiamo la nostra proiezione idealizzata di noi stessi l'uno all'altro, per poi intossicarci nel tentativo di esserne all'altezza. Non c'è niente di nuovo nel processo in sé, ma è stato amplificato dai social media in un modo che ora sta alterando qualitativamente il processo. Ecco da cosa dobbiamo scappare: una tecnologia che crea problemi con cui dobbiamo fare i conti. Non a questo che ci serve. Non è per questo che l'abbiamo inventata. Non è una divinità, è una creazione umana: in quanto tale, possiamo e dobbiamo mantenere il pieno controllo su di essa.
Come dovremmo comportarci?
Dobbiamo procedere negativamente, ricordando che siamo progettati per funzionare perfettamente senza di essa. Ciò non implica affatto un rifiuto: comodissimo organizzarsi con gli amici su WhatsApp, ritrovare vecchi amici su Facebook, godere di contenuti educativi e di intrattenimento su piattaforme di streaming, ricevere notizie, e magari condurre attivismo politico, su X. Ma questi sono solo facilitatori. Dobbiamo riscoprire la nostra nuda umanità, cercare l'aiuto della tecnologia solo quando è necessario. E, in quel caso, dobbiamo usarla senza alcuna remora.
Il significato non è nello strumento, è dentro di noi e nel mondo esterno. Dobbiamo cercare il significato, non la sua immagine.
Adorare un telescopio non ci porterà nello spazio, potrebbe anzi impedirci di raggiungerlo.